Riflessioni delle Comunità MASCI - Piemonte (2)

FRAGILITA’ UMANA
Nelle riflessioni che seguono non vi è la pretesa di un contributo scientifico originale, ma piuttosto le sollecitazioni per un dialogo e un confronto segnalando prospettive, suggerendo approfondimenti, ponendo interrogativi, ricercando percorsi sperando di contribuire ad una migliore società in cui vivere.

“La “ fragilità e “Le” fragilità

“Fragilità”, dunque: come definirla e percepirla? Nella locuzione emerge una radice di contenuto chiaro: frangere, ossia spezzare, ridurre in frammenti. In questo generalissimo livello, fragilità è qualcosa che di per sé non si caratterizza né come problema né come risorsa, ma, più semplicemente, come uno stato o un limite della materia e degli esseri viventi.
Al plurale “Le fragilità”, identificano situazioni problematiche tipicamente umane.
Rammentiamone alcune: si parla di marginalità (o sottoprotezione), di precarietà (o provvisorietà), di nuove povertà (di solito casi di deficit) che riguardano la casa per taluni gruppi sociali svantaggiati, o coloro che versano in una cittadinanza incompiuta o “minore”o non sono in grado di esercitare neppure i diritti fondamentali (per situazioni personali di limitata capacità o anche soltanto d’interinale “minorità. Il problema “droga” “AIDS” ecc. ”
Vi è un crescente disagio nella relazione io/tu: sofferenza, lacerazione dei rapporti , privazione o limitazione del diritto di libertà per sopraffazioni domestiche di ogni genere, quando l’altro è ciò di cui si avrebbe bisogno e non c’è, quando sembra che l’alterità deprivi di valore l’individuo e ridimensioni il primato che la sua dignità pretenderebbe di meritare (come accade sempre più nelle esperienze di famiglia, verso cui oggi si soffre come se fossero una realtà ingabbiante ma da cui si pretende al contempo la soddisfazione dei propri bisogni di affettività).
Le istituzioni rappresentative sono in forte crisi di legittimazione, sebbene siano luoghi tipici, anzi eminenti, di partecipazione democratica alla vita civile (purtroppo ormai molto scaduta).
In ogni stagione della vita l’uomo è “umano”, cioè “fragile”, ed in tutte le generazioni si è sempre fatta esperienza della fragilità ,della debolezza, del limite, del dolore, della malattia che ci insegnano tre cose fondamentali:
1) non siamo eterni: non siamo in questo mondo per rimanerci per sempre, siamo pellegrini, di passaggio;
2) non siamo onnipotenti: nonostante i progressi della scienza, della tecnica, e della medicina, la nostra vita è destinata a finire; la nostra fragilità è segno evidente del nostro limite umano;
3) le cose più importanti sono la vita e l’amore: la malattia ci costringe a dare l’ordine giusto alla nostra gerarchia dei valori.

La fragilità umana è una grande sfida all’intelligenza umana

Ha sempre scatenato una valanga di interrogativi, di problemi, di dubbi. Essa è uno dei luoghi comuni di tutte le filosofie e di tutte le letterature: da Giobbe a Leopardi a Schopenhauer.
Perché l’uomo deve soffrire e morire? Perché deve vivere questa esperienza?
Nonostante tutte le nostre riflessioni, la debolezza umana, la sofferenza, il dolore rimangono un mistero.
La cultura moderna, non sapendo dare una risposta, cerca di nasconderli, o di risolverli come un problema a cui applicare una tecnica appropriata. Il nostro è un tempo in cui la frequente rinuncia a mete ideali di alto profilo e l’accomodante appagamento nell’effimero, l’esasperata ricerca del benessere (costruito tra l’altro nella misura individuale) e la minimizzazione del costo spirituale che implica un siffatto vivere, comportano il fiorire di idealtipi: l’individuo efficiente fisicamente e psicologicamente roccioso, esteticamente incline al perfetto (o quasi), rampante in cerca di successo cioè di affermazione del proprio potere sull’altro, proteso a vivere oltre i propri limiti, determinato alla difesa del proprio privato, in ultima istanza pronto al disprezzo dei bisogni altrui.
Però dietro la facciata di tanta forza e sicurezza, quanti drammi di inferiorità (fisica e psichica) dipendenza e solitudine, grettezza ed egoismo!
Siamo in presenza di conquiste scientifiche enormi, tali da accreditare un senso di onnipotenza dell’uomo. Eppure al crescere del progresso (è veramente tale?) si contrappone un grande incremento delle nostre vulnerabilità.
Lo scenario, per certi aspetti, è veramente sconcertante, sebbene non manchino echi di speranza, ma soprattutto pone interrogativi cui ogni risposta è ancora da meditare.
I fattori che rendono oggi la persona più indifesa ed esposta agli imprevisti della vita sono molteplici e acuiti da una cultura sempre più efficientista e alla ricerca dell’apparire.
Indichiamo le situazioni di particolare disagio.
- Accoglienza del nascituro e del bambino
Sono in aumento le ragazze madri che si trovano in difficoltà ad accogliere la vita che portano in grembo o non hanno i mezzi sufficienti per crescere il figlio
Sono in crescita le donne separate e divorziate con i figli a carico che vivono in situazioni di precarietà e che non sempre riescono a garantire loro il giusto benessere.
q La cura del malato
Se in una famiglia un membro si ammala al punto di dover essere ospedalizzato, l’equilibrio della stessa si dissesta, i ritmi di lavoro vengono intaccati e le persone vivono un disagio notevole. Se il malato è allettato occorre assumere una badante con tutte le conseguenze del caso e magari ricorrere agli stranieri irregolari con i rischi che ne derivano.
q Il soccorso al povero
I poveri sono in aumento e non sono poche le famiglie che non riescono a sopperire alle spese che devono affrontare. Ci sono famiglie i cui componenti lavorano a part-time e hanno figli in età scolare a carico; famiglie in cui lavora un solo membro, famiglie con affitti proibitivi e con lavoro interinale che non assicura lo stipendio mensile.
q L’ospitalità dell’abbandonato, dell’emarginato, dell’immigrato
Fra gli emarginati di oggi incontriamo non solo persone diversamente abili, ma anche chi ha perso il lavoro, chi non è riuscito ad elaborare un lutto, una delusione affettiva, un fallimento familiare, scolastico o lavorativo, chi è solo, depresso, in situazione di precarietà, incapace di convivere con la propria fragilità. Queste persone alimentano in se stesse un senso di inutilità, avvertono di essere a volte considerate di peso e di conseguenza si lasciano andare, non curano la propria persona, si vedono accovacciate sotto i portici a chiedere l’elemosina vestite in modo trasandato. Si fatica a rivolgere loro la parola per paura o sospetto o per non metterci in gioco in quanto le loro storie potrebbero coinvolgerci e turbarci.
L’immigrato ha il volto di colui che lascia una situazione di disperazione ai limiti della sopravvivenza e viene nel nostro paese con l’illusione di riscattare se stesso e la famiglia lasciata. Arriva in Italia e si trova senza un posto dove andare a riparare nella notte, a vagare tutto il giorno alla ricerca di un lavoro nella speranza che qualcuno gli offra un’opportunità. Vive spesso di espedienti, e, in quanto clandestino non ha diritto di accedere ai servizi sociali.
- La protezione dell’anziano
E’ noto a tutti che i progressi delle cure mediche e il miglior tenore di vita ci rendono più longevi, innalzando di conseguenza l’età media. Spesso il familiare anziano è costretto a vivere da solo. L’individualismo in cui tendiamo a rinchiuderci espone questa fascia di età e la rende vulnerabile. L’anziano, soprattutto se non ha parenti e amici, si isola e cede alla tentazione di lasciarsi andare, cadendo in depressione, bisognoso di affetto e di attenzione, diventa preda di truffatori e di persone disoneste, si fida di tutti ed è facilmente raggirabile.

PROPOSTE

Come rispondere a queste fragilità?
Lo strumento da sempre più efficace è la solidarietà.
Dobbiamo creare una rete di sensibilizzazione al problema e adoperarci per creare una mentalità che valorizzi la persona in tutti i suoi aspetti. Una migliore organizzazione del nostro tempo e degli spazi, la reimpostazione della nostra vita sui valori fondanti quali il mistero della vita, la sapiente consapevolezza della provvisorietà, della precarietà dei nostri beni materiali che anziché schiavizzarci ci devono aiutare a riscoprire la dimensione del dono, della solidarietà, del buon vicinato, del quartiere come famiglia allargata.
Possiamo e dobbiamo come adulti Scout, portatori nel nostro DNA, dall’imperativo del servizio prenderci cura delle varie fragilità, secondo le capacità e i doni ricevuti da Dio, dare testimonianza che l’uomo è stato creato non per barricarsi in sé in un processo di ripiegamento, ma per espropriarsi di sé andando verso l’altro, in quanto è dando che si riceve e si cresce fino alla pienezza della statura di Cristo.
Le modalità e le metodologie sono da proporre e da studiare insieme.

Per la riflessione e il confronto

- Come l’incontro con le diverse forme di fragilità costituisce luogo di speranza e di testimonianza?
Accogliendo le persone che vivono queste fragilità con apertura di cuore, cercando in loro il volto nascosto di Cristo.
Mettendoci in atteggiamento di ascolto in modo da percepire i loro bisogni inespressi.
Rispondendo alle richieste di aiuto attraverso interventi di volontariato e di solidarietà in tutte le loro sfumature. (fare una passeggiata insieme, offrire compagnia, ascolto, aiutare nell’espletamento delle pratiche varie………)
- Quale occasione di condivisione, di dialogo e di confronto con il non credente costituiscono le iniziative di volontariato?
Aiutando a comprendere che tali iniziative hanno primariamente matrice di solidarietà umana inscritta nel DNA di ogni essere umano. Informare dello spirito del Vangelo queste iniziative è il “di più” che caratterizza il cristiano e la propria modalità di intervento
- Come collegare identità di ispirazione e servizio pubblico?
Mettendoci in rete, portando a conoscenza delle istituzioni competenti le realtà di fragilità umana presenti sul territorio e spesso mascherate o soffocate da fattori ambientali o sociali; indicando modalità di intervento che siano sempre a favore della persona e di promozione della sua dignità, sollecitando politiche sociali che mettano al centro i bisogni primari della persona e non interessi economici o di immagine.

In conclusione:

La fragilità, la sofferenza che, agli occhi degli uomini sembra un fallimento, unita a quella di Cristo, nella luce della fede, diventa strumento di salvezza.
La fede dà un significato diverso al fatto drammatico del soffrire e del morire. Non ci libera dalla debolezza, dal dolore, dalla morte, ma ci permette di passare da un dolore insensato a un dolore che prende un senso, dalla disperazione alla speranza per cui

LE FRAGILITA’ DIVENTANO UNA RISORSA!